Marker depressivi ipotalamici nel
disturbo bipolare
GIOVANNI
ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 22 aprile
2023.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La conoscenza del disturbo bipolare oggi è di
fondamentale importanza, non solo per gli psichiatri e i neuroscienziati che ne
indagano le cause, ma per tutti i medici, per una lunga serie di ragioni, due
delle quali sono ineludibili: 1) gli stati funzionali alternati – come la
nostra società scientifica sostiene e illustra da vent’anni – riguardano tutto
l’organismo e 2) il numero di persone affette è molto più alto di quello dei
pazienti diagnosticati, perché spesso le forme lievi non giungono all’attenzione
dello psichiatra e alcuni sintomi e manifestazioni fisiopatologiche sono
ricondotti a patologie internistiche co-occorrenti nello stesso paziente. Un limite
all’affinamento diagnostico che pur si è avuto globalmente in questo campo è
dato dalla tendenza nella pratica psichiatrica ad appiattirsi sui criteri
diagnostici del DSM-5 per le due forme principali, non conducendo approfondite
interviste anamnestiche in persone con familiarità per il disturbo e che magari
presentino al momento aspetti di uno solo dei due poli, camuffati dall’interpretazione
personale che li attribuisce a uno stile psicologico, a un modo di essere o a
un modello culturale intenzionalmente seguito.
L’esigenza di disporre di riscontri oggettivi, come
evidenze strumentali sicuramente riconducibili a quel disturbo, è perciò
crescente negli psichiatri sensibili al problema del riconoscimento diagnostico
del maggior numero di persone affette possibile, per dare loro un utile ed
efficace supporto terapeutico, evitando escalation di peggioramento.
Quando si pensa alle persone affette da questa
oscillazione eccitatorio-depressiva, le si immagina sempre nell’umore di uno
dei due stati, non considerando che, soprattutto nelle forme ad espressione
clinica più lieve, i periodi di equilibrio emotivo e psicomotorio o stati
eutimici possono durare molto a lungo, talvolta inducendo a supporre una
scomparsa del disturbo o, addirittura, indurre i pazienti a supporre una “guarigione”.
La condizione bipolare è, per definizione, un grave disturbo affettivo cronico
con una base genetica e morfo-funzionale cerebrale responsabile della periodica
commutazione dell’umore con associate manifestazioni sintomatologiche psicomotorie,
cognitive e comunicative. In realtà, durante il periodo eutimico, in cui la
persona affetta sperimenta uno stato soggettivo di serenità e appare nella sua
fenomenica comportamentale asintomatica, alla valutazione di uno psichiatra
esperto rivela sintomi residui di una delle due fasi.
Su questa base e, tenendo conto del crescente numero
di studi che documentano alterazioni dell’ippocampo nel disturbo bipolare,
Luigi Saccaro e colleghi hanno esplorato la possibilità di identificare
marker ippocampali del disturbo in pazienti eutimici, allo scopo di
ottenere un elemento di obiettività diagnostica che faciliterebbe l’identificazione
degli affetti senza manifestazioni evidenti.
(Saccaro
L. F. et al., Dynamic functional hippocampal markers of residual
depressive symptoms in euthymic bipolar disorder. Brain and Behavior – Epub ahead
of print doi: 10.1002/brb3.3010, Apr.
16, 2023).
La provenienza degli autori è la seguente: Faculty of Medicine, Psychiatry Department,
University of Geneva, Geneva (Svizzera); Psychiatry Division, Geneva University
Hospital, Geneva (Svizzera); Department of Basic Neurosciences, University of
Geneva, Geneva (Svizzera); Swisse Center for Affective Sciences, Campus
Biotech, Geneva (Svizzera); Faculty of Medicine, Department of Radiology and
Medical Informatics, University of Geneva, Geneva (Svizzera); Neuro-X
Institute, School of Engineering, EPFL, Geneva (Svizzera); Child and
Adolescence Psychiatry Division, Geneva University Hospital, Geneva (Svizzera).
Per introdurre
al disturbo bipolare, si riportano i pregevoli cenni storici di Giovanna
Rezzoni che risalgono al primo secolo dell’era cristiana.
Areteo, un medico della Cappadocia, un regno dell’Asia
Minore che faceva parte dell’Impero Romano, verso la fine del primo secolo d.C.[1] descrisse
pazienti affetti da un male della psiche che li portava periodicamente all’abbattimento
e all’esaltazione; le sue descrizioni della sintomatologia sono così precise,
accurate e dettagliate che Silvano Arieti, nel suo celebre trattato di
psichiatria dell’American Psychiatric Association, le citava senza ombra
di dubbio come il primo resoconto medico della psicosi maniaco-depressiva della
storia. Areteo riconobbe l’esistenza di un rapporto tra le due fasi di quello
che oggi chiamiamo disturbo bipolare, e le descrisse come sintomatologia della
stessa malattia mentale. Osservò che in età giovanile i pazienti sono più inclini
alle manifestazioni di eccitazione, con rapidità di pensiero, azione ed eloquio,
mentre nell’età senile tendono maggiormente alla depressione, che all’epoca si
attribuiva, seguendo Ippocrate, ad eccesso dell’umore nero, melania chole,
da cui “melancolia”, diventato poi in italiano malinconia. Areteo
sosteneva che la mania non è sempre una reazione alla fase depressiva, ma può aversi
come espressione propria della malattia. Ecco cosa scriveva in proposito
Silvano Arieti nel 1966: “Sembra quindi che Areteo abbia anticipato di almeno diciassette
secoli Emil Kraepelin. In un certo senso andò ancora più lontano di lui, perché
ritenne che le remissioni spontanee non dessero affidamento. Il carattere
intermittente della malattia gli era ben chiaro. Descrisse anche molto bene gli
atteggiamenti religiosi, con il senso di colpa e di autosacrificio del
melanconico e il comportamento gaio e iperattivo del maniacale. Riferì come un
grave caso di melanconia, su cui molti medici erano pessimisti, fosse guarito
completamente dopo che il paziente si era innamorato”[2].
Dopo il
lungo periodo di focalizzazione sugli effetti dell’ambiente, da parte della
psichiatria della seconda metà del Novecento, che chiamava “reazioni” tutti i
disturbi psichiatrici, distinguendoli in reazioni maggiori (psicosi) e reazioni
minori (nevrosi), oggi siamo ritornati a supporre come Areteo dei fenomeni
intrinseci del cervello all’origine del disturbo bipolare e, sebbene numerose
varianti geniche siano state associate alla possibilità di sviluppare
malattia, ancora poco si conosce dei processi e dei meccanismi che determinano
queste oscillazioni del regime complessivo delle attività cerebrali alla base di
ciò che chiamiamo “mente”[3].
Seguendo
ancora Giovanna Rezzoni, proseguiamo nella diacronia degli eventi[4].
Le acquisizioni di Areteo furono presto ignorate e
poi dimenticate, durante i secoli in cui molti disturbi mentali furono demedicalizzati
e attribuiti a possessione demoniaca o a turbamento spirituale. Cameron, in una
trattazione classica della storia del disturbo bipolare, classificato tra le
psicosi funzionali nel secolo scorso, riporta che il carattere alternante
maniacale e depressivo era stato rilevato da Bonet nel 1684, da Schacht nel
1747 e Herschel nel 1768[5]. Ma
soltanto con la nascita della psichiatria contemporanea e, in particolare, in
Francia con Falret nel 1851 si avrà una nuova descrizione del disturbo con il
suo carattere intermittente e ciclico. Kahlbaum tentò di ricondurre melanconia
e mania a due stati di vesania tipica nel 1863, ma il tentativo fu
bocciato dai maggiori psichiatri del tempo che, in massima parte, attendevano
gli esiti delle osservazioni del grande nosografista Kraepelin. Quest’ultimo,
seguendo Falret e Baillarger, adottò i loro criteri nell’analisi di molti
pazienti affetti dal disturbo periodico e, infine, elaborò il concetto di
psicosi maniaco-depressiva, come una sindrome che includeva la mania semplice,
molti casi di melanconia semplice e la follia circolare o periodica. Da notare
che Kraepelin studiò per molto tempo questo disturbo, ma solo nella sesta
edizione del suo celebre Lehrbuch der Psychiatrie (1899) – che costituiva
la norma nosografica in Europa – usò per la prima volta la definizione di “follia
maniaco-depressiva” e solo nell’ottava edizione (1913) sviluppò la concezione
che rimase dominante nella clinica psichiatrica fino agli anni Ottanta.
Non è superfluo ricordare perché oltre ottanta anni
dopo la scelta di Kraepelin, la psichiatria in America e in Europa conserva la
categoria delle psicosi per il disturbo bipolare: “Il termine psicosi,
però, non indica solo una gravità reale o potenziale della malattia, ma indica
anche il fatto che il modo psicopatologico di vivere è, in un certo senso,
accettato dal paziente”[6]. È
dunque posta in questione, anche se indirettamente, la “coscienza di malattia”.
In altre parole, mentre nei disturbi d’ansia, a quel tempo definiti “nevrosi”,
la persona affetta riconosce l’influenza dello stato ansioso sui propri
pensieri, nel bipolare spesso si assiste all’assunzione da parte del paziente
di prospettive, punti di vista e atteggiamenti mentali indotti dallo stato
mentale depressivo o di eccitazione maniacale, come propri. Oggi, che si tende
a declinare le psicosi prioritariamente in termini di deliri e allucinazioni,
non si ritiene sufficiente questo sintomo per parlare di psicosi; tuttavia,
bisognerebbe ricordare la presenza di questo tratto caratteristico del disturbo
bipolare, spesso ignorato nell’attuale pratica clinica[7].
Questi cenni storici introducono a una questione di notevole
importanza: dal tempo di Areteo a oggi, se si esclude la distinzione in due livelli
di impegno clinico (disturbo bipolare I e II), non sarebbe
cambiato molto se non si fosse compreso un aspetto sottolineato spesso dalla
nostra scuola neuroscientifica, ossia che ai due poli dell’umore corrispondono due
regimi funzionali differenti di tutto l’organismo. È molto evidente la
differenza se si prende in considerazione la fisiologia del sistema autonomo o
se si studiano i profili neuroendocrinologici e neuroimmunologici[8].
Per gli approcci recenti allo studio del disturbo bipolare si suggerisce
la lettura del già citato articolo dell’ottobre scorso[9] in cui si riportano stralci
di osservazioni ragionate con numerose nozioni e spunti critici, tenendo
presente anche l’altro articolo del 26 marzo 2022[10].
Torniamo allo studio condotto in Svizzera da Luigi Saccaro e colleghi.
Le alterazioni funzionali dell’ippocampo sono state considerate rilevanti
nell’elaborazione neurale alla base dei sintomi del disturbo bipolare, ma della
connettività funzionale dinamica (dFC) ippocampale nelle persone affette
si sa ben poco e, dunque, i ricercatori hanno indagato accuratamente questo
parametro.
La procedura e i metodi dello studio si possono così riassumere: su un
campione costituito da 50 volontari, 25 pazienti affetti da disturbo bipolare (BD)
in fase eutimica e 25 volontari non affetti e corrispondenti per età e sesso, sono
stati valutati i pattern di co-attivazione (CAP) di dFC
dell’ippocampo sui dati in stato di riposo durante la risonanza magnetica
funzionale (fMRI, da functional magnetic resonance imaging).
Elenchiamo qui di seguito i risultati delle osservazioni, che poi
discuteremo brevemente:
1.
la dFC
ippocampale bilaterale con le reti somatomotorie (SMN)
era ridotta negli affetti da BD;
2.
la dFC
tra l’ippocampo di sinistra e il sistema di salienza medio-cingulo-insulare
(SN) era, allo stesso tempo, più elevata negli affetti da BD;
3.
le analisi di correlazione
tra i CAP e i punteggi clinici ha rivelato che la dFC
tra l’ippocampo bilaterale e la rete di default (DMN, da default mode
network) correlava con i punteggi della depressione negli affetti da BD;
4.
l’iperconnettività
patologica tra la DMN e la SMN e la rete frontoparietale
(FPN) era modulato dagli stessi punteggi della depressione negli affetti da BD.
L’elemento più importante emerso da questo studio è il rilievo di
alterazioni delle reti cerebrali funzionali di grande scala associate alla
ridotta flessibilità del controllo cognitivo, con il diminuito rilievo della
salienza e dell’elaborazione dell’emozione negli affetti da BD. Altro
importante risultato delle analisi condotte da Saccaro e colleghi è la definizione
di nuove conoscenze negli affetti da BD sull’architettura neurale sottostante
una prospettiva dell’ambiente centrata sul sé.
Gli elementi distintivi rilevati, veri e propri dFC
marker del BD, possono migliorare la diagnosi, il trattamento e il follow-up
dei pazienti affetti da BD e, in particolare, possono consentire di individuare
tratti del funzionamento depressivo sintomatologicamente inapparente e
prevenirne ulteriori sviluppi.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni
Rossi
BM&L-22 aprile 2023
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di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience,
è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data
16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica
e culturale non-profit.
[1] Secondo Zilboorg e Cumston,
altri autori lo collocano già nel secondo secolo d.C.; secondo le notizie più antiche
Areteo visse prevalentemente a Roma, nella capitale dell’impero.
[2] Silvano Arieti (editor-in-chief),
Manuale di Psichiatria (in 3 volumi), Vol. I, p. 585, Boringhieri,
Torino 1985.
[3] Note e Notizie
26-03-22 Nel
disturbo bipolare è alterata la trascrizione sinaptica e neuroimmunitaria (v.); Note e Notizie 25-03-23 Temperatura
cerebrale nei giovani con disturbo bipolare (v.).
[4] Note e Notizie 25-03-23 Temperatura cerebrale nei
giovani con disturbo bipolare. L’argomento
trattato in questa recensione integra quello dello studio qui recensito.
[5] Cameron N., “The Functional Psychoses” in Hunt J. McV., Personality
and Behavior Disorders, vol. II, Ronald, New York 1944.
[6] Silvano Arieti (a cura di), Manuale
di Psichiatria in 3 voll.: vol. I, p. 583, Boringhieri, Torino 1985.
[7] Personalmente concordo con l’orientamento
di diagnosticare il “disturbo” fino a prova del contrario, ossia fino a quando
non compaiono sintomi diacritici di psicosi. Ho visto numerosi psicotici bipolari,
ma la loro percentuale rispetto agli affetti dal disturbo non psicotici che ho
avuto in trattamento rimane bassa. È opportuno, a ulteriore chiarimento della prospettiva
assunta dalla psichiatria classica di fine Novecento, sottolineare che la
categoria in cui si faceva rientrare il disturbo bipolare maniaco-depressivo
era quella delle “psicosi funzionali”, dunque una categoria diversa da quella
della paranoia e della schizofrenia.
[8] Note e Notizie 15-10-22 Gravità
del disturbo bipolare rivelata dalla disfunzione sessuale.
[9] Note e Notizie 15-10-22 Gravità del disturbo bipolare rivelata dalla disfunzione sessuale.
[10] Note e Notizie 26-03-22 Nel disturbo
bipolare è alterata la trascrizione sinaptica e neuroimmunitaria.